venerdì, febbraio 19, 2021

Il lavoro

 Un poeta lettone scrive un ode al capitalismo, di Michael O’Loughlin

Era davvero molto bello per Pablo Neruda,
Majakovskij e quei compagni
scrivere le Odi al Lavoro: avevano
operai siderurgici stakanovisti,
conducenti di rossi trattori che spezzavano il suolo vergine.
Ma io? Come posso elogiare
l’operatore di call center,
il barista dell’hotel di lusso,
l’agente immobiliare che affitta camere agli slovacchi?

Siedo qui otto ore al giorno con la divisa blu
al registratore di cassa del Tesco
cercando di trovare un nome
per quello che faccio davvero.
I miei colleghi si chiamano Mariska o Mujumaad
non so dove vivono
non so cosa mangiano.

La sola cosa che so è che siamo sacerdoti dell’infima casta
nella chiesa più grande che la storia abbia mai visto.
La gente viene fino all’altare,
posiamo le mani sui frutti della terra
e li restituiamo benedetti, santificati, pagati
alle persone che li hanno creati.

No, non voglio scrivere un’ode alla gente come me.


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