martedì, novembre 30, 2021

Gigieross

https://youtu.be/MY6r22a7BFk 

Enzo Tortora

 Per non dimenticare mai.

Il 30 novembre del 1928 nasceva Enzo Tortora, noto conduttore televisivo, giornalista, politico, ma soprattutto Persona Perbene.


Il suo nome, però, è tristemente legato a quello che può essere considerato il "padre" di tutti gli errori giudiziari. Tortora venne arrestato per associazione camorristica e traffico di droga. Il suo nome venne infangato, il suo orgoglio


 calpestato, fino alla dimostrazione – dopo 7 mesi di carcere – della sua totale estraneità ai fatti. Terminato il suo calvario, Tortora fece dell'impegno politico e sociale la sua ragione di vita, per restituire agli italiani una giustizia più limpida ed equa.


Stanco, provato ed irrimediabilmente segnato, morì appena un anno e mezzo dopo la sua piena assoluzione, senza mai vedere il risultato della sua battaglia.

lunedì, novembre 29, 2021

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Napoli

Napoli 


 

Gazebo


 Gazebo

Alessandro Di Battista

 Alessandro Di Battista


Nel paese alla rovescia si tendono a giustificare le vergogne con un ipocrita “così fan tutti”. Così fan tutti? Bene, allora puniamoli tutti per ripulire tutto. Il mondo del calcio è una cloaca assoluta ed ormai è lo specchio dell'immoralità moderna. Frodi sportive, corruzione, finanza speculativa, strapotere quasi “ricattatorio” di procuratori strapagati, troppi stranieri (io non ne faccio una questione “nazionalista” ma etica, a volte si comprano stranieri per fare all'estero operazioni criminali, ovvero soldi che escono dalle società e rientrano, magicamente, nelle tasche di Presidenti o Direttori sportivi dopo passaggi vari tra agenti o imprese di intermediazione con sedi nei paradisi fiscali o in Paesi con pochi controlli). E poi ridicole plusvalenze, stipendi immorali, bilanci, di fatto, truccati, esami di lingua che fanno ridere i polli. Il “trucco” delle plusvalenze ha prolungato la vita ad un sistema finanziariamente morto. Il dramma è che, al posto di ripulire, si pensa a nuove SuperLeghe, ai fondi di investimento, alla finanza, ancora alla finanza.


L'inchiesta di Torino è un'occasione d'oro. E' l'occasione di ripulire un sistema malato e disonesto che si mantiene in vita grazie alla passione, l'amore (a volte cieco, ed io, tifosissimo ne so qualcosa) di centinaia di milioni di persone che consentono uno spettacolo che, come già successo in passato con le leggi spalma-debiti, ha arricchito alcuni a scapito della collettività.


Dire “le plusvalenze della Juve? Beh, fanno tutti così” è il modo migliore per far sì che ingiustizie ed illegalità possano perpetrarsi. E' vero, ogni tifoso sa che la propria squadra (salvo rarissime eccezioni) ha realizzato operazioni più che dubbie (cessioni di giocatori che valgono due lire messe a bilancio a cifre spaventose, calciatori sconosciuti acquistati a 20 milioni di euro e che in Italia non potrebbero giocare neppure in serie B, etc). Ma questo deve farci indignare, non può essere un motivo per giustificare.


Detesto i fatalisti. Non c'è miglior alleato di un sistema malato di colui che, davanti ad un sopruso, un'angheria o uno scandalo sa soltanto dire: “beh, è così dappertutto”.

Pietrangeli


 P. Pietrangeli

Giuseppe Rondelli

 “Letta ha detto che per decreto ha eliminato il finanziamento pubblico ai partiti. E’ una balla d’acciaio di Letta e Renzi(e, ndr) per far sembrare che stiano facendo le cose che fa il M5S.


Noi abbiamo rinunciato a 42 milioni di finanziamento pubblico, di rimborsi elettorali che ci spettavano dalle ultime elezioni. Questi non solo hanno fatto un decreto legge ieri che continuerà ad ingrassare le casse dei partiti fino al 2018, ma contemporaneamente istituisce un nuovo tipo di finanziamento pubblico ai partiti, per sempre, che paga ai partiti i costi di formazione politica, le bollette delle sedi, gli affitti.


Hanno mutato geneticamente quelo che è il rimborso elettorale pagando direttamente quello che secondo noi devono pagare direttamente gli elettori se credono in quella forza politica, senza fondi pubblici. Inoltre hanno istituito il 2 per mille, sul quale hanno fatto una grandissima propaganda politica, ma che in realtà non è nient ‘altro che un fondo pubblico, soldi pubblici che i cittadini potrebbero destinare allo Stato e invece scelgono di destinare ai partiti.


Sempre soldi pubblici sono.


Questo decreto legge è una balla. Andatevi a leggere il testo approvato dalla Camera qualche mese e che è stato insabbiato perché é esattamente il testo del decreto emanato da Letta. Leggiamo, informiamoci e continuiamo a pensare che si possa fare politica senza soldi pubblici perché noi ci siamo riusciti. Abbiamo messo insieme 700.000 euro di piccole donazioni dei cittadini per la campagna elettorale di febbraio e 250.000 per il V3DAY. Andiamo avanti!” Luigi Di Maio, M5S


https://www.ilblogdellestelle.it/2013/12/la_mutazione_ge.html

Partecipa


 Partecipazione 

Notizie di oggi

 Le notizie da sapere oggi:


• La variante fa paura. Londra convoca oggi una riunione dei ministri della Sanità del G7. 'La priorità è vaccinarsi e fare terza dose, dice la presidente della commissione Ue Ursula von der Leyen. Israele ha deciso di chiudere le sue frontiere. Obbligo di mascherina da martedì nel Regno Unito. Berlino pensa al lockdown. Il presidente dei medici del Sudafrica: 'Omicron dà sintomi lievi'. 


• Sono in corso indagini da parte del commissariato di polizia di Empoli (Firenze) per identificare l'uomo che sabato pomeriggio ha molestato una giornalista dell'emittente regionale Toscana Tv, Greta Beccaglia mentre era in collegamento in diretta con lo studio nel post partita del match di serie A di calcio tra Empoli e Fiorentina. La polizia sta cercando, tramite testimoni e immagini di videosorveglianza, di rintracciare la persona responsabile della molestia. L'Ordine dei Giornalisti della Toscana, col presidente Giampaolo Marchini, ha espresso solidarietà a Greta, ha criticato il conduttore in studio, peraltro un giornalista esperto, "perché invece di condannare il gesto e il molestatore, ha invitato la collega a 'non prendersela'" per le molestie mentre, sottolinea l'Ordine "verso di lei non è stata sentita nessuna parola di solidarietà da parte del conduttore"


• il Green pass ha ampiamente superato lo scoglio delle urne in Svizzera, dove, primi al mondo, gli elettori erano chiamati a votare sulle modifiche legislative che hanno introdotto il pass sanitario: il 62% degli elvetici ha votato a favore. La vittoria dei Sì è importante per il governo ed una conferma della strategia adottata per fronteggiare la pandemia, che non accenna a placarsi, così come le tensioni che hanno accompagnato il voto.


• Barbados sta per diventare ufficialmente una repubblica, rompendo anche l'ultimo emblema che legava l'isola caraibica al suo passato coloniale: la sovrana britannica, quale capo dello stato, da martedì sarà sostituita dalla prima presidente, la 72/enne Sandra Mason, che è anche il primo giudice costituzionale donna.

domenica, novembre 28, 2021

Alessandro Di Battista

 Sapete cos'hanno in comune Pfizer, Moderna, J&J con le principali industrie d'armi al mondo ed i colossi del web? Semplice, i fondi di investimento!


Molti di voi conosceranno BlackRock, la più grande società di investimento del pianeta, ma i fondi finanziari che, di fatto, scegliendo dove investire condizionano le nostre vite, sono molti. 


I primi tre investitori istituzionali di Pfizer sono fondi. Vanguard Group. possiede l'8,19% delle azioni, BlackRock il 7,32% e State Street Corporation il 5%. Lo stesso vale con Moderna: Vanguard ha il 6,7% e BlackRock il 6,63%. 


Considerate che BlackRock gestisce un patrimonio di quasi 8000 miliardi di dollari, più del PIL di Giappone, Germania, Francia o Gran Bretagna. Solo USA e Cina hanno un PIL superiore ad 8000 miliardi di $. 


Anche i primi due azionisti istituzionali di Johnson & Johnson sono fondi di investimento. Ancora una volta Vanguard Group. e BlackRock rispettivamente con l'8,8% ed il 7,4% delle azioni. 


Vogliamo parlare degli azionisti di FB? Primo Vanguard Group. con il 7,73%, secondo BlackRock con il 6,59%. Stesso discorso per Amazon, Vanguard Group. ha il 6,65% e BlackRock 5,55%. 


Vanguard, BlackRock e State Street Corporation sono anche i principali investitori istituzionali della Lockheed Martin Corporation, il primo produttore di armi al mondo e possiedono anche un mucchio di azioni della Boeing, numero 2 al mondo per produzione di armamenti. 


La Boeing è conosciuta per il Jumbo Jet ma non tutti sanno che produce anche i missili Patriot, gli elicotteri Apache e i cacciabombardieri F18. 


Vanguard Group, Morgan Stanley, Blackrock e State Street Corporation figurano, inoltre, nei primi quattro posti tra gli investitori di Twitter. 


BlackRock è, inoltre, il primo azionista di UniCredit, uno dei principali istituti finanziari italiani il cui Presidente è l'ex ministro dell’Economia Pier Carlo Padoan. 


La scorsa estate Atlantia (società dei Benetton concessionaria delle autostrade) ha accettato un'offerta da 8 miliardi di euro presentata da un consorzio di cui fa parte Cassa Depositi insieme ai fondi di investimento Blackstone e Macquarie, il primo colosso USA, il secondo australiano. 


Nelle ultime ore un altro colosso finanziario americano, il fondo Kkr ha avanzato un'offerta per acquistare il 100% di TIM, un tempo una gallina dalle uova d'oro per le casse dello Stato. Se l'acquisto dovesse andare in porto Kkr (attraverso TIM) potrebbe ottenere l'appalto miliardario per il Cloud, ovvero la gestione dei dati delle Pubbliche Amministrazioni. 


Se iniziassimo a mappare i politici finiti a lavorare nelle banche d'affari, nei fondi di investimento e, in generale, nel mondo della finanza, faremmo notte. 


Le Repubbliche occidentali sono dilaniate dai conflitti di interessi e dalle pressioni esercitate dai giganti della finanza che, con un clic, di fatto, dispongono della vita di milioni di cittadini. 


I fondi finanziari stanno comprando di tutto, infrastrutture strategiche, case farmaceutiche, gruppi mediatici, social network. E la politica tace. Pensate che chi detiene tale potere non rischi di abusarne? Pensate che chi ha a disposizione una tale forza economica non sia capace di esercitare pressione sulle scelte di governanti o ministri? 


Nel mio libro “Contro” scrissi: “Non mi fido di Draghi per il suo passato, non mi fido di Draghi per i macroscopici errori che ha collezionato, non mi fido di Draghi per la scarsa empatia, non mi fido di lui perché è un tecnico che si è formato nell’humus del capitalismo finanziario, ovvero l’entità che, più di tutto, è alla base degli squilibri sociali ed economici della modernità”.


E ancora: “solo il rafforzamento degli strumenti di democrazia diretta potrà far da argine all’allargamento della forbice tra l’indigenza più funesta e la sempre più oscena opulenza. Un tempo credevo che l’onestà fosse il requisito principale per occuparsi della cosa pubblica. Oggi la reputo una condizione necessaria, ma è l’indipendenza ciò che davvero può distinguere un buon rappresentante della nazione. E, sebbene appaia paradossale, l’indipendenza di un parlamentare, di un ministro o un presidente del Consiglio, è direttamente proporzionale alla dipendenza nei confronti di una moltitudine di persone. Si chiama democrazia e poco, ahimè, ha a che fare con il sistema in cui viviamo”.


Spero di avervi dato qualche spunto di riflessione.


P.S. Ci vediamo sabato a Taviano (Lecce) in Piazza del Popolo. #InformAzione #SuLaTesta

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sabato, novembre 27, 2021

Zona rossa


 Zona rossa 

Caduti sul lavoro al 27/11/2021

 #CadutisulLavoro  #Basta #MinisteroDelLavoro #Inail  http://cadutisullavoro.blogspot.it/

Una guerra  mai dichiarata.

Al 27/11/2021 sono 639 i caduti sul lavoro.

Anno 2020 Italia 574

Anno 2019 Italia 701

Anno 2018 Italia 786

Anno 2017 Italia 632

Anno 2016 Italia 641

Anno 2015 Italia 678 

Anno 2014 Italia 623 

Anno 2013 Italia 571 

Anno 2012 Italia 625

Anno 2011 Italia 663

Anno 2010 Italia 593

venerdì, novembre 26, 2021

Dibba

 "In queste ore le borse stanno crollando per via della nuova variante e sempre più paesi, tra cui l'Italia, hanno vietato l'ingresso dal Sudafrica. 


In Sudafrica il 23% della popolazione ha completato il ciclo vaccinale. Immagino si siano vaccinati in primis i ricchi. Dubito che nei “ghetti” di Johannesburg o Città del Capo la percentuale sia maggiore. Ad ogni modo c'è chi se la passa peggio. In Kenya solo il 4,7% della popolazione è vaccinata, in Uganda il 2%, in Sudan l'1,3%, in Niger l'1,9%. Da quelle parti è più facile rimediare un Kalashnikov che una dose di vaccino. 


La ragione? Alle case farmaceutiche conviene vendere terza, quarta, quinta o sesta dose in occidente che le prime dosi in Congo. E' il capitalismo, bellezza! Ma guai a prendersela con tale sistema. Guai a sostenere che sia il capitalismo (soprattutto quello finanziario, guardate tutto quel che controllano i maxi-fondi di investimento a cominciare da BlackRock) responsabile di squilibri economici, sociali ed oggi anche climatici o relativi all'approvvigionamento di dosi di vaccino. Meglio addossare tutte le colpe del mondo ai No-vax (davvero, vi suggerisco di vaccinarvi, guardate Cuba se non vi fidate di BigPharma) “nemici” ideali dell'establishment il quale, non a caso gli concede spazi mediatici che neppure il Papa o il Presidente USA in visita in Italia ha mai ottenuto"...buona lettura!

Tasse


 Tasse

Dibba

 "In queste ore le borse stanno crollando per via della nuova variante e sempre più paesi, tra cui l'Italia, hanno vietato l'ingresso dal Sudafrica. 


In Sudafrica il 23% della popolazione ha completato il ciclo vaccinale. Immagino si siano vaccinati in primis i ricchi. Dubito che nei “ghetti” di Johannesburg o Città del Capo la percentuale sia maggiore. Ad ogni modo c'è chi se la passa peggio. In Kenya solo il 4,7% della popolazione è vaccinata, in Uganda il 2%, in Sudan l'1,3%, in Niger l'1,9%. Da quelle parti è più facile rimediare un Kalashnikov che una dose di vaccino. 


La ragione? Alle case farmaceutiche conviene vendere terza, quarta, quinta o sesta dose in occidente che le prime dosi in Congo. E' il capitalismo, bellezza! Ma guai a prendersela con tale sistema. Guai a sostenere che sia il capitalismo (soprattutto quello finanziario, guardate tutto quel che controllano i maxi-fondi di investimento a cominciare da BlackRock) responsabile di squilibri economici, sociali ed oggi anche climatici o relativi all'approvvigionamento di dosi di vaccino. Meglio addossare tutte le colpe del mondo ai No-vax (davvero, vi suggerisco di vaccinarvi, guardate Cuba se non vi fidate di BigPharma) “nemici” ideali dell'establishment il quale, non a caso gli concede spazi mediatici che neppure il Papa o il Presidente USA in visita in Italia ha mai ottenuto"...buona lettura!

Gigieross

 https://youtu.be/MY6r22a7BFk

giovedì, novembre 25, 2021

Maradona


Napoli e Maradona 


 

Tommaso Merlo

 Il Movimento è andato oltre il trenta percento senza soldi e adesso che sta scomparendo dice che ne ha bisogno. Se c’è una lezione che il fu Movimento ha dato alla nostra democrazia, è proprio che se hai valori ed idee non servono affatto i soldi e tantomeno burocrazie, uffici e santi in paradiso. Il fu Movimento ha conquistato il potere senza soldi perfino in una democrazia malconcia come la nostra. E’ questo che rimarrà nei libri di storia dell’epopea movimentista. L’aver dimostrato che anche in Occidente le democrazie sono scalabili dall’esterno dai cittadini. E lo sono anche senza mezzi ma con un progetto politico valido. Prima si pensava che non fosse possibile senza risorse finanziarie e senza controllare i media. Una lezione di democrazia merito del fu Movimento ma anche dei cittadini che han dimostrato di essere più evoluti di quello che pensavano i politicanti. Nonostante i vecchi partititi controllassero giornali e televisioni e nonostante disponessero d’ingenti fondi e appoggi ovunque, alle ultime politiche gli italiani hanno votato in massa per quella squattrinata banda di scappati di casa. Questo perché all’opposizione avevano dimostrato di valere e perché era l’unico progetto politico all’altezza dei tempi e in sintonia con la volontà popolare. Un progetto innovativo solido e che prometteva di mettersi alle spalle un sistema ormai marcio dopo decenni di malapolitica. Com’è miseramente finita è sotto gli occhi di tutti. Ma la lezione resta. I cittadini non sono dei fessi e si sono in gran parte emancipati. Puoi avere tutti i soldi che vuoi e spendere cifre folli per campagne elettorali faraoniche, ma se non sei credibile e hai deluso i tuoi elettori, non vai da nessuna parte. Contano i fatti, non la pubblicità. Conta la proposta politica, non i palchi, i manifesti e le cene elettorali. Il Movimento è andato oltre il trenta percento senza soldi e adesso che sta scomparendo dice che ne ha bisogno. Vedremo se gli iscritti superstiti vidimeranno anche questa virata copernicana. Ma ormai dei rimangiamenti del fu Movimento sorprende solo la disinvoltura. Manca giusto il secondo mandato e poi saranno ufficialmente la fotocopia sbiadita del Pd. Un partitino senza senso politico e nemmeno storico se non tenere insieme gli sparuti tifosi superstiti dei bei tempi che furono. Certo, è triste vedere delle forze politiche che prendono voti dicendo una cosa e poi una volta nei palazzi ne fanno un’altra. E’ uno di quei sempiterni vizi della vecchia politica che il fu Movimento diceva di voler sradicare. Uno di quei vizi che minano il rapporto di fiducia tra cittadini e politicanti e quindi in ultima analisi minano la democrazia. Ma ormai dei rimangiamenti del fu Movimento sorprende solo la disinvoltura. Saranno gli elettori a tirare le somme. Nel frattempo qualcuno dovrebbe ricordare a quelli del fu Movimento che non esistono negozi che vendono la credibilità e la reputazione perdute. E non esistono nemmeno negozi che vendono contenuti politici e tantomeno slancio e consenso. E qualcuno dovrebbe ricordare al fu Movimento che sono proprio loro ad aver dimostrato che in democrazia non contano affatto i soldi e tantomeno burocrazie, uffici e santi in paradiso. Ma conta la validità del proprio progetto ed essere in sintonia con la volontà popolare. Sintonia politica e storica. E tutto questo vale perfino in una democrazia malconcia come la nostra che si è dimostrata scalabile dall’esterno. Una lezione di democrazia che il fu Movimento si può pure rimangiare ma che non va dimenticata da tutti coloro che non si vogliono arrendere alla restaurazione e credono ancora nel cambiamento e in un futuro migliore.


Tommaso Merlohttps://repub

Ambiente


 Ambiente 

Dibba

 Il Movimento, nel 2013, rifiutò 43 milioni di euro di finanziamento pubblico ed era un bel Movimento.


Il Movimento votò contro la legge del governo Letta che istituiva il 2X1000 ai partiti sostenendo che fosse un finanziamento pubblico mascherato (sempre soldi pubblici sono) ed era un bel Movimento.


Il Movimento chiedeva ai suoi portavoce di restituire il Tfr a fine mandato. Io l'ho fatto. 


Il Movimento sosteneva che si potesse fare politica con pochi soldi ed era un bel Movimento.


Il Movimento ha chiesto un mucchio di volte denari ad iscritti, attivisti e simpatizzanti e di denari ne arrivavano sempre. Decine di migliaia di piccole donazioni che ci hanno permesso di organizzare ogni tipo di evento.


Quando feci il tour in camper da non candidato portavo con me un bancomat al contrario. Le persone facevano la fila sotto la pioggia per donare 10, 20, 50 euro e finanziare quella campagna. Da quel bancomat al contrario usciva la ricevuta. I soldi arrivavano perché c'era identità.


Il Movimento non aveva sedi lussuose ed era un bel Movimento. 


Oggi il neo-movimento si avvita su se stesso. Incapace di ottenere donazioni puntando sull'identità (e ti credo, governa con Renzi, Salvini, Bonino, Berlusconi, Letta e sotto Draghi) segue la strada di tutti gli altri partiti...una strada che un tempo non avrebbe imboccato nemmeno sotto tortura.

Maradona


 Un anno senza Maradona 

mercoledì, novembre 24, 2021

Giulio Cavalli

 Cari amici degli amici e cari commentatori e giornalisti che siete tutti barzotti per l’assoluzione del senatore Marcello Dell’Utri dall’accusa di minaccia a Corpo politico dello Stato (insieme a Mori, Subranni e De Donno) e che ora siete già passati dalla parte della santificazione, vi do una notizia che forse vi sconvolgerà: Marcello Dell’Utri non è stato assolto dalle condanne precedenti.


Siete stupiti, eh? Marcello Dell’Utri è quello che il 7 luglio del 1974 portò nella villa di Arcore di Silvio Berlusconi (un altro vostro santino nella collezione di figurine di loschi da ripulire a tutti i costi per servilismo) il pregiudicato Vittorio Mangano che venne assunto (lo dice una sentenza, solo che questa ve la state dimenticando, sbadati) come “responsabile” per evitare che i familiari dell’imprenditore fossero vittima di sequestro di persona. Mangano, giovane mafioso che diventerà boss del clan di Porta Nuova a Palermo, era il certificato di garanzia per non dispiacere alla mafia e Dell’Utri fu l’anello di congiunzione. E nonostante Dell’Utri abbia passato anni a raccontarci la frottola che Mangano fosse uno stalliere il Tribunale di Palermo ha sentenziato che sia Berlusconi sia Dell’Utri fossero a conoscenza dello spessore criminale di Mangano e anzi, dice la sentenza, l’avrebbero scelto proprio per questa sua qualità.


Cari santificatori: il Marcello Dell’Utri che oggi state leccando in tutti i vostri editoriale è lo stesso uomo che al ristorante “Le Colline Pistoiesi” di Milano festeggiava tutto allegro con altri mafiosi alla festa del boss catanese Antonino Calderone, è lo stesso politico che dichiarò «Io sono politico per legittima difesa. A me della politica non frega niente. Mi difendo con la politica, sono costretto. Mi candidai nel 1996 per proteggermi. Infatti subito dopo mi arrivò il mandato di arresto […] Mi difendo anche fuori [dal Parlamento], ma non sono mica cretino. Quelli mi arrestano», è la stessa persona che venne dichiarata latitante l’11 aprile 2014 dalla Corte d’appello di Palermo per essere arrestato in un albergo a Beirut, in Libano, con due passaporti (di cui uno diplomatico scaduto) e una valigia piena di denaro contante per 30mila euro.


Cari esaltatori: la sentenza definitiva conferma l’incontro del 1974 tra Berlusconi, Dell’Utri e i capimafia Francesco Di Carlo, Stefano Bontate e Mimmo Teresi, raccontato tra l’altro dallo stesso Di Carlo, collaboratore di giustizia. In uno degli uffici del futuro presidente del consiglio, in foro Bonaparte a Milano, fu presa la “contestuale decisione di far seguire l’arrivo di Vittorio Mangano presso l’abitazione di Berlusconi in esecuzione dell’accordo” sulla protezione ad Arcore. La sentenza scrive nero su bianco del “tema dell’assunzione -per il tramite di Dell’Utri- di Mangano ad Arcore come la risultante di convergenti interessi di Berlusconi e di Cosa nostra” e del “tema della non gratuità dell’accordo protettivo, in cambio del quale sono state versate cospicue somme da parte di Berlusconi in favore del sodalizio mafioso che aveva curato l’esecuzione di quell’accordo, essendosi posto anche come garante del risultato”.


Cari commentatori, state esaltando un uomo che definì “eroe” Vittorio Mangano perché si era rifiutato di parlare davanti agli inquirenti. Volendo allargare il campo, siete pieni di fremiti democratici e garantisti per uno che disse: «Mussolini ha perso la guerra perché era troppo buono»· Si apra pure il dibattito sul processo sulla Trattativa ma per favore non insozzate la Storia con una mistificazione della realtà. Altrimenti viene il dubbio davvero che tutta questa gioia sia un favoreggiamento giornalistico alla mafia sotto le mentite spoglie del garantismo. Per favore, un po’ di serietà, dai, su.


(il mio pezzo per TPI)


Amici


 Amicizia 

martedì, novembre 23, 2021

Egoismo


 Più solidarietà e meno egoismo.

Dibba

 Sapete chi è quello a destra? E' Antonio Funiciello, il Capo di gabinetto di Mario Draghi. Il nome di Funiciello - super-renziano, già Capo staff di Gentiloni quando costui era Premier e noto gentleman (scrisse su twitter "Appendino è bocconiana. Come SaraTommasi") spunta fuori dalle carte dell'inchiesta Open, la cassaforte renziana. Draghi (lo ricorda questa mattina Marco Travaglio nel suo editoriale) ha nominato Funiciello Capo di Gabinetto con un atto che lo invita a perseguire “unicamente finalità di interesse generale”. Ebbene nelle carte dell'inchiesta il Funiciello appare tutto tranne un uomo propenso all'interesse generale. Nel 2017 (Premier Gentiloni) Funiciello si adoperò per favorire due lobbies: la British American Tobacco ed il Gruppo Toto, la holding che possiede la Strada dei Parchi, l'S.P.A. che, a sua volta, ha in concessione dallo Stato l'A24 (Roma-Teramo) e l'A25 (Torano- Pescara). 


Gianluca Ansalone, vice-presidente della British American Tobacco si rivolse anche a lui per far cancellare un emendamento che aumentava le tasse sulle sigarette e Funiciello tenne un filo diretto con il lobbista facendogli la telecronaca dei progressi “Ok, cerco di capire”, “Sono già all'opera”, “Non ancora chiusa ma bene”, “In via di rassicurazione”. Alla fine l'emendamento venne cancellato ed il lobbista lo ringraziò “Un grazie non formale per aver condiviso merito e contenuto delle nostre preoccupazioni” e ancora “Caro Antonio finalmente dopo un nuovo round alla Camera possiamo rilassarci un po'. Ti voglio ringraziare sinceramente per il tuo ascolto e supporto”. 


Anche Alfonso Toto, indagato per corruzione nell'inchiesta Open insieme a Luca Lotti (renziano ancora nel PD) e all'avvocato Bianchi, numero 1 proprio di Open, fu soddisfatto del lavoro di Funiciello. All'epoca, infatti, un emendamento favorevole al gruppo Toto passò in Parlamento. Parliamo di parecchi milioncini di euro di denaro pubblico. Ebbene Toto, in quei giorni, scrisse a Luciano D'Alfonso, all'epoca Presidente della Regione Abruzzo e oggi Presidente della commissione finanze del Senato (eletto anche con i voti del M5S) questo messaggio “Sono stato da Funiciello e Canalini (la sua segretaria) che hanno lavorato ventre a terra avendo compreso la drammaticità della nostra infrastruttura”. 


Bristish American Tobacco ed il Gruppo Toto vennero accontentati. Niente tasse al primo e molti soldi al secondo. Casualmente entrambi hanno finanziato Open, fondazione alla quale anche Funiciello era legato. Funiciello fondò il comitato referendario “Basta un Sì” ed ebbe legami strettissimi con Bianchi e Lotti. Funiciello non è indagato ma è indecoroso che continui ad essere il Capo di Gabinetto di Draghi. Quel Mario Draghi che nel 1999, da direttore del Tesoro, si era occupato della privatizzazione delle autostrade e che, nel 2003, lavorava in Goldman Sachs, la banca che, nel 2003, mise a disposizione 3 miliardi di euro al gruppo Benetton (ricordo, tra l'altro, che Alessandro Benetton ha pagato 19.000 euro Renzi per una conferenza) alla ricerca di finanziatori per terminare la loro scalata sulle autostrade italiane costruite grazie alla nostre tasse.


Seguite i soldi e capirete molto della politica italiana...

Travaglio

 Travaglio. Una domanda a Draghi.

Spiace disturbare il premier Draghi, che ha già il suo daffare. Ma quella che gli sottoponiamo non è una vicenda minore, anche se forse gli è sfuggita perchè la grande stampa – al solito – non ha scritto una riga. Riguarda il suo capo di gabinetto Antonio Funiciello, da lui nominato il 12 aprile con un atto che lo richiamava a perseguire “unicamente finalità di interesse generale”. Draghi allora non poteva sapere ciò che è poi emerso dagli atti dell’inchiesta Open, in cui Funiciello è ripetutamente citato nelle sue precedenti vesti di turborenziano e capo di gabinetto del premier Paolo Gentiloni (2016-’18). Carte che dimostrano come il Funiciello interpretasse le “finalità di interesse generale” a cui era ed è tenuto: come finalità di interesse privato per favorire, nella legge di Bilancio del 2017, due lobby – British American Tobacco e gruppo Toto – che finanziavano Open. Il pr di Bat Gianluca Ansalone lo attivò per far cancellare, prima al Senato poi alla Camera, un emendamento che aumentava le tasse sulle sigarette. Funiciello obbedì, informandolo via via dei progressi: “Ok, cerco di capire”, “Sono già all’opera, complicato però”, “Non ancora chiusa, ma bene”, “In via di rassicurazione”. A missione compiuta, il lobbista lo ringraziò sia per la sparizione dell’emendamento al Senato (“Un grazie non formale per aver condiviso merito e contenuto delle nostre preoccupazioni. Abbiamo evitato una cosa molto pericolosa”) sia alla Camera (“Caro Antonio, finalmente dopo un nuovo round alla Camera possiamo rilassarci un attimo. Ti voglio ringraziare sinceramente per il tuo ascolto e il supporto”).

Lo stesso avvenne con Alfonso Toto, ceo del gruppo autostradale abruzzese e concessionario dello Stato, che si scrisse un emendamento, poi lo fece presentare e approvare dagli amici renziani: un aiutino da decine di milioni che passò – scrive la Gdf – per l’“interessamento di Boschi, attivata da D’Alfonso, e del capo gabinetto… Funiciello”. Toto scrisse a D’Alfonso com’era andata: “Sono stato da Funiciello e Canalini (la segretaria, ndr) che hanno lavorato ventre a terra avendo compreso la drammaticità della ns infrastruttura”. Essendo ben nota la sua correttezza, siamo certi che mai Draghi, se avesse saputo queste cose quando un amico (Gentiloni?) gli segnalò Funiciello, l’avrebbe scelto come capo di gabinetto. Ma ora le sa e il Fatto gli domanda se quelle marchette siano compatibili con le “finalità di interesse generale” che gli aveva prescritto. Per ruoli e condotte meno rilevanti, ha già meritoriamente rimosso o degradato personaggi imbarazzanti come Durigon, Tabacci, Farina e De Pasquale. Quando dirà e farà qualcosa su Funiciello? Marco Travaglio FQ 23 novembre 2021

Giornata


 Giornata 

lunedì, novembre 22, 2021

Notizie di oggi

 Le notizie da sapere oggi:


• Almeno quattro agenti israeliani sono rimasti feriti in un attacco nella città vecchia di Gerusalemme. Secondo la polizia, come riferisce il Times of Israel, l'attentatore è stato "colpito e neutralizzato". Uno degli agenti israeliani feriti nell'attacco è morto, secondo quanto riferisce la Radio Militare. L'attacco è avvenuto nei pressi del mercato arabo che costeggia il Muro del Pianto.


• Oltre 75 migranti sono annegati mercoledì scorso dopo essere partiti dalla Libia, secondo le testimonianze di 15 sopravvissuti salvati dai pescatori e portati a Zuara. Lo afferma Safa Msehli, portavoce dell’Organizzazione mondiale per le migrazioni (Oim).


• “Noi non abbiamo costruito una macchina del fango ma l’abbiamo subita”. L’atteso intervento di Matteo Renzi alla Leopolda sull’inchiesta che lo vede coinvolto si è svolo nella serata di ieri, sabato 20 novembre. Sul fatto di essere indagato per finanziamento illecito ai partiti, chiarisce: “Quale reato si contesta? Quei soldi non solo sono tracciati, ma tutti bonificati. Noi non abbiamo violato leggi, mentre altri hanno violato l’articolo 68 della Costituzione”.


• Il costante aumento dei contagi ha convinto il Governo ad adottare misure più stringenti per frenare la quarta ondata di Covid, tentando di convincere gli italiani che ancora non si sono vaccinati a farlo. Quella che sta per iniziare potrebbe essere la settimana decisiva: sul tavolo del governo ci sono diverse ipotesi; dal super green pass, all’obbligo vaccinale. Sarà il premier Mario Draghi a trovare il punto di equilibrio ma la strada è quella di non voler far pagare agli italiani vaccinati ulteriori restrizioni. Da questo punto di vista sono i governatori Toti e Fedriga quelli maggiormente intenzionati a chiedere che il prezzo lo paghino i no vax.


• Un uomo di 83 anni è morto in un incendio divampato in una palazzina a Limbiate, in Brianza. Altri nove residenti sono stati medicati per aver respirato fumo, e alcuni sono stati portati in ospedale, ma tra essi nessuno sarebbe in gravi condizioni. È accaduto in uno stabile tra via Bolzano e via Mazzini, dove sono intervenuti i Vigili del fuoco di Monza e il 118. Il cadavere carbonizzato è stato trovato da pompieri e i soccorritori non hanno potuto far altro che constatarne il decesso.

Gatto e topo


 Il gatto e il topo 

domenica, novembre 21, 2021

A Scafati con Dibba e Villarosa


 Il giovane e più veloce, ma l’anziano conosce la strada.

Sport


 Gigieross 

sabato, novembre 20, 2021

Tommaso Merlo

 Lo stipendio e la pensione non c’entrano nulla, i nostri onorevoli sono incollati alla poltrona per salvarci dalla pandemia. Il loro è un sacrificio per il bene del paese. E’ eroico senso di responsabilità di cui dobbiamo essergli eternamente grati. Altro che balle. Senza la loro competenza e lungimiranza chissà dove saremmo finiti. Stipendi e pensioni sono una minima e sacrosanta ricompensa. Già, quella in corso è una legislatura che senza dubbio si annovera tra le migliori dal dopoguerra ad oggi. Sarebbero personaggi come Alcide De Gasperi i primi ad ammetterlo. Già, basta stare ai fatti. Nel 2018 il popolo italiano ha dimostrato di essere ancora vivo ed ha votato in massa per un cambiamento radicale. Son passati poco più di tre anni e la politica nostrana ha risposto come da migliore tradizione, con una onorevole pernacchia. Prrrrr. Quella del 2018 passerà alla storia come la rivoluzione virtuale ma nel senso di bufala, non di digitale. La rete è servita solo per accalappiare i pesci che sguazzavano nel malcontento. Tre governi in tre anni. Il primo a fare qualcosa, gli altri due a sfasciare quanto fatto. Coi rivoluzionari de noialtri che si son messi a “controllare da dentro” la restaurazione. In nome della transizione poltrologica. Cittadini novelli che nei palazzi si son messi a giocare al piccolo statista con gli onorevoli squali che sguazzano nella pozza romana da decenni. Finendo sbranati. Poco più di tre anni ed è successo di tutto. Nascita di partiti a tavolino, scissioni, metamorfosi. Stravolgimenti di linea e di alleanze. Prima le guerre puniche poi un’orgia governista. Voltagabbana come se piovesse. Banchetti di poltrone e di parole date. Una bolgia che alla fine ha prodotto l’ennesima umiliante resa della politica e l’arrivo di Mariuccio Draghi a guidare come Alcide il turbolento dopoguerra pandemico. Con la volontà popolare diventata roba da utopici idealisti e l’Italia una banca europea visto che questa volta i soldi li mettono i loro. Una banca in cui Mariuccio spadroneggia mentre tutt’attorno gli onorevoli impiegati sgambettano diligentemente nei corridoi sperando che duri il più possibile in modo da intascarsi fino all’ultimo centesimo. Non resta che attendere la caratura del Presidente della Repubblica che partoriranno. Berlusconi o Prodi sarebbero nomi davvero perfetti per coronare non solo questa legislatura ma tutta questa epoca politica che doveva terminare nel 2018 ma in cui in realtà siamo ancora immersi fino al collo. Già. Lo siamo. Ma per il nostro bene. Per salvarci dall’epidemia epocale che ci ha colpito. Altro che balle. Quella degli onorevoli è eroico senso di responsabilità e sacrificio. Stipendi e pensioni non c’entrano nulla, sono al contrario una minima e sacrosanta ricompensa. Se non era per i nostri onorevoli chissà come sarebbe finita. Altro che scienza e responsabilità dei cittadini e prassi standard. Altro che balle. Dopo una legislatura del genere bisognerebbe piuttosto erigere un monumento in piazza Montecitorio per onorare i protagonisti di questa straordinaria legislatura. Facendola immortalare dagli artisti migliori del paese. In marmo bianco. Tipo un mega deretano appoggiato su uno scranno che raffiguri il loro stoico altruismo. Oppure una mega lingua che raffiguri le chiacchiere con cui ci hanno salvato ma anche il trasporto per Mariuccio loro. Con Alcide che si spella idealmente le mani ed un onorevole prrrrr in sottofondo.


Tommaso Merlo

https://repubblicaeuropea.wordpress.com/2021/11/20/la-pandemia-dellonorevole-poltrona/

Fedez


 Fedez

venerdì, novembre 19, 2021

Quirinale

 505 VOTI A SCRUTINIO SEGRETO PER ELEGGERE IL PROSSIMO PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA. 


Nessuno dei leader di partito ha il pieno controllo dei gruppi parlamentari, i franchi tiratori sono dietro l'angolo. 


Possiamo perdere più di 50 miliardi del Next Generation Eu senza un governo in grado di farli approvare dall'Europa nel 2022. 


Occorre approvare una legge elettorale coerente con il taglio dei parlamentari. 


Eleggere il 13esimo Presidente della Repubblica coincide con un periodo delicatissimo per le sorti dell’Italia. In questo contesto, una figura di garanzia come quella del Capo dello Stato giocherà inevitabilmente un ruolo cruciale, dato che dovrà assumersi il compito di mantenere in vita una maggioranza che possa garantire un governo capace di far approvare i 50 miliardi dall'Europa, e superare la crisi pandemica ed economica.  


La ricerca di un largo compromesso fra le forze politiche non sembra approdare  a soluzioni, ma piuttosto i due schieramenti, centro-destra e centro-sinistra, si contrappongono. 


Una contrapposizione che vede il centro-destra a 441 grandi elettori e il centro-sinistra a  467. La votazione a scrutinio segreto fa temere franchi tiratori, facendo così saltare qualsiasi ipotesi di un nome scelto solo dai leader di partito che non sia convincente per i parlamentari.  


La partita del Quirinale si giocherà, quindi, sulle preferenze dei  parlamentari non ascrivibili a questi due gruppi, al netto di possibili  franchi tiratori. 


Un clima di grande incertezza politico che si manifesta in continui bracci di ferro.

Come per le nomine dei direttori RAI, il voto sul DDL Zan e tutte le volte in cui  Italia Viva si ritrova a votare con Lega, FI e FdI. 

Prove tecniche di trasmissione per eleggere un presidente della Repubblica espressione del centro-destra. 


C'è la difficoltà a trovare un candidato spendibili per il Colle da entrambi gli schieramenti e si misurano le forze. 


Ogni nome proposto o palesato presenta dei punti deboli che ne frena il lancio. 

Qualunque sia il candidato manca sempre un pezzo, consegnando la partita del  Quirinale all'incertezza. 

Offrendo in tal modo uno spettacolo agli elettori indegno di una politica sana e fatta nell'interesse dei cittadini.

Lavoro


 Salari

giovedì, novembre 18, 2021

Beppe Grillo

 

Loro parlano della dignità del lavoro. Balle. La dignità è nel tempo libero.” (Herman Melville)

di Beppe Grillo – Dall’aprile 2021 negli Stati Uniti, oltre 19 milioni di lavoratori hanno lasciato il proprio lavoro.

Anthony Klotz, professore di management presso la A&M University in Texas, l’ha chiamata la Great Resignationuna tendenza in aumento che sta sconvolgendo le aziende di tutto il mondo.

Klotz ha attribuito queste dimissioni volontarie a quattro cause principali: un arretrato di lavoratori che volevano dimettersi prima della pandemia; burnout (esaurimento), in particolare tra i lavoratori in prima linea nell’assistenza sanitaria, nella ristorazione e nella vendita al dettaglio; “epifanie pandemiche” in cui le persone hanno sperimentato importanti cambiamenti di identità e finalità che le hanno portate a intraprendere nuove carriere e ad avviare un’attività in proprio; e un’avversione a tornare negli uffici dopo un anno o più in smart working.

Un vero e proprio crollo della società che ha portato molti colossi americani come Target, Walmart, Amazon etc… ad arginare il problema, senza risolverlo, offrendo lezioni gratuite per i propri dipendenti, donando benefit copiosi, pagando le rette universitarie o semplicemente aumentando i salari. Ma non basta. Secondo uno studio McKinsey i dipendenti bramano un investimento negli aspetti umani del lavoro, sono stanchi, vogliono un senso di scopo rinnovato. Vogliono connessioni sociali e interpersonali con i loro colleghi e manager. Vogliono provare un senso di identità condivisa. Sì, vogliono retribuzione, benefici e vantaggi, ma più di questi vogliono sentirsi apprezzati dalle loro aziende e i loro capi. Vogliono interazioni significative.

Un altro studio IBM dice lo stesso, 1 dipendente su 5 ha cambiato volontariamente lavoro nel 2020, e Generazione Z (33%) e Millennial (25%) rappresentano le fasce di età che più si sono messe in gioco. 1 persona su 4, a livello globale, intende cambiare posto di lavoro, nonostante la crisi economica abbia determinato la perdita di 255 milioni di impieghi nel 2020. Le ragioni principali di questa scelta sono la necessità di un programma o di un luogo di lavoro più flessibili, di maggiori benefit e di supporto per il proprio benessere.

E il nostro paese? Non ne è esente: tra aprile e giugno 2021, secondo le rilevazioni del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali,  si sono registrate 485.000 dimissioni su un totale di 2,6 milioni circa di contratti cessati. La quota di abbandono volontario sul totale degli occupati ha superato il 2% per la prima volta da anni, a livelli non lontani da quelli degli Stati Uniti.

A fronte di questa tendenza, e guardando ai dati Istat che ci dicono che abbiamo più di 300mila disoccupati rispetto al pre-pandemia, è ora che la settimana lavorativa di 4 giornisia al centro del nostro dibattito politico.

Nel 1930 Keynes scriveva che nel 2030 la più grande sfida che avrebbe avuto l’umanità sarebbe stata quella di occupare il proprio tempo libero, lavorando 3 ore al giorno e favorendo così il progresso verso una società migliore e libera dal lavoro.

Oggi, grazie alla tecnologia possiamo farlo, con una soluzione concreta: ridurre la settimana lavorativa e liberare il tempo per altre attività più adatte a quella che potremmo finalmente chiamare vita.

G. Casaleggio


 Gianroberto Casaleggio 

mercoledì, novembre 17, 2021

Tommaso Merlo

 L’Italia è ostaggio dell’ego di una manciata di politicanti e di giornalisti. Un paese intero è costretto ad occuparsi delle beghe personali di personaggi che si credono la salvezza del paese ed invece ne sono la rovina. In tempo di Draghistan è ancora tutto più evidente. Mentre il gelido bancario manovra in un silenzio assordante, la politica ma anche il giornalismo si occupano di roba che non ha nulla a che fare con la realtà e coi poveri cristi. Tempo ed energie buttate via in una sterile rissa permanente. Col risultato che Berlusconi e Renzi sono ancora lì e mentre il mondo evolve l’Italia ristagna nella solita melma. Tutta colpa della deriva egoistica che in Italia ha raggiunto livelli imbarazzanti. L’ego è una falsa idea di se stessi creata dalla mente. Ci si illude di essere il lavoro che si fa, i ruoli che si ricoprono, la propria reputazione, il proprio passato, quello che si possiede, come si appare. Una identità fasulla che si recita sui palchi della vita danneggiando se stessi e il mondo intero. L’ego è una forza malefica che spinge a combattere per imporre il proprio personaggio, i propri interessi e le proprie ragioni anche a scapito degli altri. E’ una forza malefica che trasforma la propria vita in una guerra permanente atta a parare e sferrare colpi nell’illusione di una vittoria che però non arriva mai. Perché le guerre egoistiche servono in realtà per riaffermare la propria fasulla identità e per sfogare le proprie frustrazioni e trascinano in vicoli ciechi in cui non vince nessuno. Ma incapace di autocritica e vedendo i passi indietro come una sconfitta, gli egoisti rilanciano sempre. Da un miraggio all’altro perché all’ego non basta mai. Ma la sua non è forza, è debolezza. L’ego è figlio della paura. Paura della verità. Su se stessi e sulla vita. Paura di togliersi la maschera e buttare i copioni e capire chi si è veramente come persone. Paura di capire cosa sia davvero la vita e rendersi conto che le proprie certezze sono in realtà velleitarie. Paura delle proprie fragilità e meschinità, paura di ammettere i propri errori e fallimenti, paura di rendersi conto dei danni fatti a se stessi e al prossimo senza nemmeno rendersene conto. Per questo gli egoisti impongono la loro presenza su qualche palco fino alla fossa. Per paura del sipario, per paura di tornare a casa e guardarsi allo specchio senza trucco. The show must go on. Tutti convinti di avere ragione, tutti convinti di essere indispensabili, tutti convinti che la soluzione di tutti i mali sia il proprio trionfo. E questo anche quanto tutto attorno è cenere. L’Italia è uno dei paesi occidentali più corrotti e arretrati. Non riusciamo nemmeno a risolvere questioni democratiche basilari come i conflitti d’interesse oppure una vera libertà di stampa o una giustizia civile. Sediamo nel G7 ma moltissimi giovani emigrano verso democrazie più evolute in cerca di aria respirabile e quando scoppia un problema la politica si deve affidare a qualche tecnocrate. Siamo fermi. Impantanati. Tutti a puntare il dito, tutti a scannarsi ma in realtà la colpa non è là fuori, ma dentro. La colpa è la deriva egoistica mentre politicanti e giornalisti e loro seguiti sono solo la conseguenza. In tempo di Draghistan è tutto ancora più evidente. Mentre il gelido bancario manovra in un silenzio assordante, la politica ma anche il giornalismo si occupano di roba che non ha nulla a che fare con la realtà e coi poveri cristi. Un paese intero vittima delle beghe personali di personaggi che si credono la salvezza del paese ed invece ne sono la rovina. Tempo ed energie buttate via in una sterile rissa permanente. Col risultato che Berlusconi e Renzi sono ancora lì mentre il mondo evolve e l’Italia galleggia nella solita melma.

Tommaso Merlo

Lavoro e salario


 Il lavoro senza diritti è schiavitù.

martedì, novembre 16, 2021

Massimo Fini

 La Puglia dei miracoli


Margherita di Savoia (Foggia). Margherita di Savoia si sveglia alle quattro del mattino. Alle quattro si alzano i contadini per andare sui campi. Alle quattro si alza il primo gruppo di pescatori, quelli che vanno per frutti di mare, una pesca molto redditizia che si fa con grandi barche armate d’un ampio rastrello per arare il fondo. Torneranno in porto alle otto ed i frutti di mare prenderanno la strada di Barletta, di Foggia, di Bari ma anche della Spagna. Nel frattempo saranno stati sostituiti, sul mare, da quelli che, con barche più piccole, pescano le seppie sottocosta, che si levano alle sei e saranno di ritorno a mezzogiorno. Alle quattro, e anche po’ prima, si alzano gli impiegati e gli operai delle saline perché sono anch’essi contadini e devono affrettarsi sui campi prima degli altri. Vi ritorneranno, come tutti, alle cinque del pomeriggio quando il sole è un po’ meno bianco e omicida.

E alle quattro si alza anche Benito Di Staso, il mediatore. Di Staso è un gigante di cinquant’anni, le spalle enormi, le mani possenti, il corpo agile e giovane, il viso cotto dal sole cui danno risalto i capelli quasi completamente bianchi: fa il mediatore di prodotti ortofrutticoli, soprattutto cipolle, patate, carote, uva, che raccoglie dai contadini della zona e vende all’estero, in Inghilterra, in Irlanda, in Scandinavia, in Francia, in Germania, in Svizzera, sui mercati ricchi perché i prodotti della terra di Margherita, in particolare le cipolle e le patate, sono di grande qualità. Di Staso muove, a seconda della stagione, dalle centocinquanta alle duecento persone, commercializza 50 mila quintali di cipolle l’anno, 60 mila di patate e altre decine di migliaia di quintali di prodotti vari, ha un giro d’affari di quattro miliardi l’anno, un utile di settecento milioni. Al suo livello, nel barlettano, ce ne sono altri quattro o cinque, i fratelli Carpentieri, i Caputo, i Lanquino, i Todisco, i De Martino, seguiti da una settantina di operatori più piccoli che lavorano soprattutto per il mercato interno.

Benito Di Staso è oggi miliardario, ha terreni, case, immobili, ma ogni giorno si alza all’alba e finisce alle dieci di sera. Noi seguiremo la sua lunga giornata di lavoro servendocene come filo conduttore per cercare di capire il miracolo di questo lembo di terra pugliese, che sta grosso modo nel triangolo Margherita di Savoia - San Ferdinando di Puglia - Barletta, i cui abitanti, dopo secoli di stenti, si van facendo ricchi, il prodigio di questo spicchio d’Italia che funziona, contro ogni aspettativa e regola, in barba all’Italia che non funziona.

La grande Volvo di Di Staso manovra con una certa fatica fra le case basse di Margherita di Savoia, un paese di quindicimila abitanti che ha due sole strade che corrono parallele al mare, ma centinaia di vicoli, corti e stretti, perfettamente allineati, che lo tagliano in verticale. Benito mi spiega il motivo di questa singolare disposizione urbanistica: il vento deve poter passare fra le case per raggiungere le saline che sono alle spalle del paese, perché la salina ha bisogno del sole ma anche del vento.

La macchina corre veloce verso il nord, in direzione del Gargano il cui profilo si disegna incerto nella luce dell’alba, avendo sulla destra, vicinissimo, il mare e sulla sinistra le grandi vasche delle saline che già di questa stagione si tingono d’un rosa carico, segno che il sale sta lentamente emergendo. Le saline arrivano fino a Zapponeta, il primo paese a nord di Margherita, lungo ventiquattro chilometri di costa ed hanno una larghezza di quattro: sono le più grandi d’Europa, producono 500 mila tonnellate di sale l’anno e coprono l’ottanta per cento del fabbisogno nazionale.

Nella stretta lingua di terra che rimane fra le saline ed il mare, cinquecento metri d’arenile, non di più, si compie il miracolo di Margherita di Savoia. Da questa sabbia in origine povera, arida, i contadini di Margherita hanno ricavato una teoria infinita di campi, alcuni non più larghi di trenta metri, che rivoltati e lavorati per generazioni, arricchiti di stallatico, concimati con pazienza, trattati con sapienza, producono oggi, da novembre ad aprile, 400 mila quintali di carote, da aprile ad agosto, 400 mila quintali di cipolle, e 60 mila quintali di patate suddivisi fra i due raccolti di primavera e di autunno. E la sorte ha voluto che propria questa sabbia partorisca le cipolle e le patate più belle del mondo. Le cipolle non son cipolle, sono diamanti luccicanti, grosse come il pugno di un contadino, bianchissime e tenere, che si possono mangiare così come sono, intinte in un poco di sale. Le patate sono piccole, ma hanno una pasta saporita e tenera che si scioglie appena arriva alla bocca. Tanto che qui si dice - e se non è vero è verosimile - che la regina d’Inghilterra non si mette a tavola se non ha le patate di Margherita. Insomma sono prodotti pregiati come conferma un semplice raffronto: il contadino di Avvezzano (Napoli) vende la sua cipolla a 90 lire al chilo, quello di Margherita a 350, Napoli vende le sue patate a 300 lire, Margherita a 650.

Sotto un sole che comincia a picchiare ci inoltriamo in campi senza un filo d’ombra. A perdita d’occhio, fra salina e mare, non si vede un albero né un tralcio di vite (che pur, insieme al grano, è la coltivazione base della Puglia) che troveremo invece a sud di Margherita nei campi che si stendono verso Barletta. Un vecchio contadino e cinque uomini più giovani sono curvi su un vasto campo, giallo di patate appena raccolte. Frugano la sabbia con mani esperte e ne tirano fuori mazzi di piccole patate che allineano negli avvallamenti del campo. Il vecchio si rizza, saluta Di Staso e viene verso di noi. Mi porge una mano pesante, rigida, lavorata come la sua terra. Sul volto devastato dalle rughe brillano due occhi furbi. Il vecchio si chiama Salvatore Mazzariella, quei giovani sono i suoi figli. «Quel che manca qui», dice subito, allargando una bocca senza denti, «è l’acqua. A Trinitapoli, a cinque chilometri, l’acqua l’hanno portata, ma qui no». Alza un dito al cielo: «Qui ci mettono i fili del telefono. Ma noi, scusi, a chi dobbiamo telefonare? Se avessimo l’acqua, lo giuro sui vangeli, lo giuro sui miei figli, lo giuro» e Mazzarella si leva il cappellaccio «lo giuro sul nome della Madonna... se avessimo dell’acqua questa diventerebbe la California».

«Mazzariella è un uomo molto fortunato» mi dice Di Staso mentre ci allontaniamo «perché ha avuto cinque figli, tutti maschi, ed è ricco a miliardi». Il lamento dell’acqua l’ho sentito ripetere da tutti i contadini di Margherita. Del resto il problema è antichissimo in tutta la Puglia. Qui raccontano che quando Di Vittorio, che era di Cerignola, salito per la prima volta al nord, a Firenze, per la sua attività di sindacalista, tirò in albergo lo sciacquone del bagno, alla vista di quel ben di dio che defluiva nel cesso, abbia esclamato: «Madonna! Ma questa è la paga d’una giornata di lavoro d’un bracciante». Oggi, nella Capitanata (così si chiama la zona di Foggia) l’acqua in qualche modo arriva, non quanto ci vorrebbe, però arriva. Ma sui campi delle saline no. Neanche i pozzi servono. «Ho fatto scavare fino a 250 metri» dice Di Staso, «ma abbiamo trovato solo il sale».

La verità è anche un’altra. Ed è che, a questo punto, i contadini di Margherita non hanno più molto bisogno dell’acqua. Sono talmente abituati a non averne che possono farne a meno. Tutte le loro produzioni sono impostate in modo tale da richiedere il minimo di umidità. Con l’andar degli anni hanno creato delle patate, come l’“Apollo” e l’“Elvira”, che resistono bene alla siccità. Cosicché quello che inizialmente era un grave handicap si è risolto in un vantaggio perché la produzione non è soggetta agli umori del cielo. Una sapienza contadina affinata da secoli ha supplito alla natura matrigna. Mi racconta Di Staso mentre rientriamo a Margherita di Savoia: «Qui hai della sabbia che per il suo contenuto è priva di sostanza e non hai l’acqua. Sono due condizioni negative per la produzione. Se qui, per esempio, si piantassero le patate come si fa da tutte le altre parti non verrebbe fuori niente. Ma a questo punto entra l’abilità e l’astuzia dei nostri contadini. Ogni tubero, cioè ogni patata da semina, presenta diversi “occhi”, come li chiamiamo noi, che sono gli elementi che creano il germoglio. Normalmente gli “occhi” sono da sei ad otto e quindi da sei ad otto sono i germogli, ognuno dei quali produce parecchie patate. Ma se qui tu piantassi un tubero con otto “occhi” non germoglierebbe niente perché questa terra non ce la farebbe a sostenere il carico. Allora cosa fanno i nostri contadini? Tagliano un pezzo di questo tubero in modo da lasciare un “occhio” solo. A questo modo la pianta e la terra ce la fanno perché non sono caricate. E dal germoglio verranno fuori quattro o cinque patate, non grosse ma ottime».

Il magazzino dei Di Staso (Benito è l’ultimo di otto fratelli, cinque maschi e tre femmine, ma è il capo riconosciuto del clan) è un vecchio e scrostato capannone vicino alla stazione ferroviaria. I sacchi di tela con le cipolle e le patate, vengono caricati a spalla sui camion in attesa sul piazzale. Tutto l’andamento ha l’aria molto antica. Ma in un ufficetto a vetri, ricavato in un angolo del capannone, c’è un moderno telex, collegato con tutta Europa, la macchina per le fotocopie, i telefoni.

La mole imponente di Di Staso è dappertutto. Dà ordini, impreca, litiga, striglia i suoi uomini in dialetto, la nostra lingua africana come dice lui. Lo chiamano al telefono, da Stoccarda. Parla fittamente in tedesco, capisco solo che è furioso. Mi spiegherà poi che la giornata è andata malissimo perché l’ottanta per cento dei suoi camion sono stati fermati al confine: i sanitari tedeschi hanno trovato sugli ortaggi i nematodi, insetti invisibili e proibiti, e hanno rifiutato l’entrata. «Ma è una scusa», dice Di Staso, «il fatto è che cominciamo a dargli fastidio ed ogni pretesto per bloccarci è buono. All’estero nessuno ci difende. Se ci rivolgiamo alle nostre autorità sentiamo il solito ritornello: agiremo per via diplomatica. Ma la diplomazia in queste cose non serve a nulla. Se loro fermano otto camion dei nostri, noi dobbiamo bloccargliene dieci. Questo è l’unico modo».

Con un balzo agile Di Staso salta su un camion e comincia a scaricare sacchi di cipolle, senza smettere di impartire ordini, di rispondere al telefono e di dare udienza ad una folla minuta che viene a chiedere una piccola partita di cipolle o un favore o a fare quattro chiacchiere. Mentre è curvo sotto un sacco deve leggere un po’ di meraviglia nei miei occhi - non è cosa di tutti i giorni vedere un miliardario caricato come un facchino - e dice: «Se ti manca un operaio, che fai, blocchi tutta la catena?».

Nel pomeriggio andiamo in un campo che Di Staso ha preso a moggio a sud di Margherita, verso Barletta. Da questa parte la campagna assume un aspetto più tradizionale, più pugliese. Non ci sono più le saline, i campi sono vasti, con fitti vigneti a capanna, e una terra nera, grassa, ricca, ha preso il posto della sabbia pallida. La squadra dei contadini è disposta in una lunga fila diagonale e lavora di zappa per dissotterrare le patate seminate fra un vigneto e l’altro. Per quanto possa sembrare strano, il lavoro di zappa, che si fa sulla terra, è più duro di quello a mano che si fa sull’arenile. Perché la zappa alla lunga pesa. «E ci vuole maggiore abilità» spiega Benito «perché il colpo di zappa va dato dritto sennò si tagliano le patate ed una patata tagliata è una patata persa». Chiedo a Di Staso come mai si lavori solo a forza di braccia. Mi risponde che questa patata, la “Siglinda”, che viene venduta sul mercato tedesco, è una patata pregiata e non si può raccogliere con i mezzi meccanici perché la rovinerebbero. Ma in tutta la campagna si lavora a forza di braccia: qui l’agricoltura non è meccanizzata , come quella tedesca o emiliana o quella della pianura padana. Qui l'unico capitale resta l’uomo e la sua famiglia.

Intorno ad un tavolo ricavato da un vecchio biliardo, di cui si vede sul legno crudo ancora il disegno, stan seduti, un po’ impacciati, i contadini. È una carrellata di volti goyeschi, di bocche sdentate, di corpi straordinariamente magri o straordinariamente grassi, intorcigliati come vitigni. Il sole basso della sera, che filtra da una finestra, infiamma queste facce scorticate, che paiono di carne viva, rosse come la crosta di un gambero, rose dal sole e dal vino. Siamo alla cooperativa degli “Arenaioli” di Margherita di Savoia. È il momento clou della giornata: si tratta il prezzo delle patate e delle cipolle. Di Staso, sornione, siede in silenzio di fronte ai contadini. Improvvisamente annuncia: 400 le patate, 250 le cipolle. La stanza si riempie di urla, le braccia forti, nere di peli, battono sul tavolo. Il capo della cooperativa, un contadino anziano, inizia un discorso in dialetto fitto di cui capisco solo che il prezzo è troppo alto e che i contadini di Margherita non sono più fessi di quelli di Zapponeta che, quello stesso giorno, hanno preferito non vendere. Di Staso risponde con urla alle urla. Poi si china verso di me e mi dice a voce bassa, in italiano: «È tutta una commedia. Il capo cooperativa deve fare la sua parte per non perdere la faccia davanti ai suoi ed io la mia». Dopo un po’ il vecchio apre un grosso quaderno bisunto e segna: patate 400, cipolle 250. Una stretta di mano e Di Staso si alza. Sulla porta lo blocca un tipo mingherlino, nervoso. Dice: «Domani c’è sciopero generale. Non si consegna niente». I contadini tacciono, imbarazzati. Di Staso guarda il sindacalista dall’alto dei suoi due metri. Dice, calmo: «Fate quel che volete, ma io ho tre camion che aspettano e che domani devono partire». Il sindacalista urla, Di Staso urla. Si raggiunge l’accordo: lo sciopero si farà da Margherita a Barletta, ma non da Zapponeta a Margherita.

Mentre mi accompagna in macchina verso il magazzino, Franco, il giovane autista e factotum di Di Staso, che è legato al suo padrone da un affetto filiale e che ha per lui un’ammirazione sconfinata, mi confida: «Benito è un figlio di puttana. Ma a Margherita “figlio di puttana” vuol dire uno che ci sa fare, uno che ha due coglioni grossi così».

Dieci di sera. Uno splendido maglione blu girocollo, su una camicia Oxford e pantaloni anch’essi blu, occhialini bifocali tenuti da una catenella: a cena in uno dei migliori ristoranti di Barletta, Di Staso mostra l’altra sua faccia, quella del ricco signore. Gli chiedo di raccontarmi la sua storia.

«Cominciò mio padre, Giuseppe, intorno al 1910. Allora si faceva mediazione soprattutto di vino pesante, denso, di qui, che vendevamo nel bergamasco, a Cantù, a Como, in Brianza, perché da quelle parti erano forti bevitori e gli piaceva il vino con un po’ di sostanza. Ma è cosa passata perché gli intermediari di quelle zone sono scomparsi quasi tutti. Mio padre sposò una donna romantica da cui ebbe tredici figli. I primi tempi furono durissimi. Nel '36 cominciammo ad andare all’estero, in Inghilterra, con le patate che noi chiamiamo “bisestili”, quelle di novembre. Poi mandammo le carote con i mazzettini di foglie, per dare l’impressione che fossero carote moderne, perché gli inglesi sono speciali in queste cose, adorano i particolari. Più o meno in quel periodo cominciammo anche in Francia. Da allora ci sono rimasti legami strettissimi con quei paesi. Sono rapporti collaudati: loro sanno quel che forniamo, noi sappiamo che pagano.

Si lavorava, si guadagnava, si aveva una certa liquidità e si facevano investimenti, in case, in terreni, in immobili. Nel lavoro invece non c’era bisogno di investire perché quello andava tranquillamente da sé. Per qualche tempo siamo andati anche fuori Margherita, abbiamo lavorato nel leccese, in Sicilia, in Calabria, con le produzioni tipiche dell’estremo sud, melanzane, peperoni, angurie, meloni, pomodori, fichi. Questo è durato fino al '63. Poi ci accorgemmo che con le spese e i costi non ci stavamo più e abbiamo preferito chiuderci nel guscio delle nostre produzioni che esportiamo quasi interamente. Nulla esclude che non si possa all’occasione giusta essere presenti anche sul mercato italiano, sempreché sia remunerativo. Ma per il momento preferiamo l’estero anche se non è un mercato facile perché bisogna saper offrire dei prodotti di costante attualità. Il consumatore infatti non vuole sempre gli stessi prodotti. Oggi si fanno diete, si ascoltano i consigli dei medici, si seguono le mode e così un prodotto che va benissimo un anno può non andare affatto quello successivo. Quasi ogni mese io devo lasciare Margherita per andare in giro a capire quello che sta succedendo. Ogni mese io mi faccio tutte le capitali e tutti i maggiori mercati europei. Adesso, per esempio, un prodotto che va, forse quello che va più forte, è l’aneto, che è un’erba che assomiglia molto alla foglia del seme di finocchio e serve come decorazione: a Londra o a Copenaghen, quando preparano il sandwich, sulla fetta di formaggio o di prosciutto mettono la fogliolina di aneto. Poi c’è il prezzemolo riccio: non c’è oggi ristorante europeo che si rispetti che non decori i suoi piatti con un ciuffetto di prezzemolo riccio. Ecco, se uno è sensibile a questi fenomeni, a questi mutamenti del gusto, i suoi affari li fa e li fa bene. Quello che invece non capisco, e che anzi mi fa infuriare, è che qui c’è una Cooperativa, democristiana, che raccoglie molti agricoltori di Margherita che gli conferiscono il prodotto, che non ha il problema, come ce l’ho io, di andarsi a cercare il cliente, che ha prestiti al tasso agevolato del quattro e mezzo per cento, che non paga gli impiegati perché sono a carico della Regione, e che ogni anno riesce ugualmente ad essere in deficit di più di cento milioni. Questo mi fa impazzire. Noi Di Staso in settant’anni di attività non abbiamo mai chiuso un bilancio in rosso».

Barletta. Non tutti forse sanno che Barletta, novantacinquemila abitanti, è una città ricchissima. La sua Banca Commerciale è al secondo posto, per utile, di tutto il sistema della Comit. Nel suo centro si raccolgono le sette maggiori banche nazionali, fra cui, oltre la Commerciale, il Credito Italiano, il Banco di Roma, il Banco di Napoli. Un appartamento in centro ha prezzi milanesi o romani, un milione e mezzo al metro quadro, in periferia si va dalle 400 alle 600 mila lire, un piano terra, cioè un negozio, costa due milioni e mezzo al metro quadro.

Barletta, che è il capoluogo di fatto anche se non di diritto della zona, oltre ad avere un notevole sviluppo industriale, fa da collettore delle ricchezze della campagna circostante e dei paesi vicini, di Margherita, di San Ferdinando, di Trinitapoli. Ed è qui, a Barletta, che le ragioni di questa ricchezza, che avevamo visto solo in nuce a Margherita di Savoia, diventano chiare, distinguibili, non più caso isolato, ma fatto sociale: la grande capacità di lavoro e di sofferenza degli abitanti, il mélange fra uno stile di vita antico e un modo moderno di fare business, la debolezza di un apparato burocratico, sindacale e politico che qui pesa meno che altrove.

L'attività leader di Barletta è oggi quella delle scarpe. Qui facevano, per antica tradizione, le pantofole. Ma le pantofole sono diventate adesso modernissime scarpe da «training» e da «jogging», scarpe per il tempo libero ed il campeggio, che prendono la strada dell’Inghilterra, della Germania, della Francia. Le pantofole invece vanno in Libia, in Turchia, in Arabia. Gli operatori principali sono la Playbasket e la Playmaker di Stefano Di Cosola, la Nuova Universo di Liberti, la Cooperativa Alba dei fratelli Battaglia, i fratelli D’Amato, il presidente del Barletta-calcio, Roggio. Nella scia di questi lavorano altri duecento calzaturifici fra medi e piccoli ed un «indotto», quasi sempre familiare, sommerso e «nero», che fa tomaie e lacci.

Forti sono anche i maglifici, una settantina (anche se da un paio di anni c’è una leggera flessione perché si passa di colpo dall’inverno all’estate e non c’è mezza stagione), che si avvalgono anche di mano d’opera che viene da Terlizzi, da San Ferdinando, da Andria. In sviluppo sono anche gli imballaggi, il che è abbastanza significativo perché c’è imballaggio dove c’è qualcosa da imballare.

Hanno quasi tutti cominciato da niente, in casa, sepolti più che sommersi, poi, visto che le cose andavano, hanno tirato su un capannone, poi due, adesso danno lavoro a decine di operai.

Spingo la porta della Commerciale, un edificio modesto in piazza Caduti di guerra, nel centro di Barletta, dove sono riunite tutte le banche e una folla enorme, vociante, poveramente vestita, che si pigia senza ritegno nel locale angusto, mi si para dinanzi. Sembra di essere in qualche ufficio Inps il giorno del pagamento delle pensioni. Il tono è quello. «Ma non ce n’è uno di questi che non tenga “a libretta”, come dicono qui, e che sulla “libretta” non abbia, almeno, i suoi cento milioni» mi dice il direttore della banca, il dottor Proietti, che è umbro d’origine, di Foligno.

La cosa straordinaria di Barletta è infatti che la sua ricchezza non si vede. La città vecchia ha la tipica aria da souk arabo, quella nuova è trasandata, le case sono senza pretese. I volti sono contadini come il modo di vestire. E dei contadini hanno conservato lo stile di vita. Sono ricchi da poco e non gli passa neanche per la testa che il denaro possa essere usato per abbellire la propria esistenza, per comprarsi un buon vestito, per rifarsi la bocca. Conferma Proietti: «Guadagnano e risparmiano. Risparmiano e guadagnano. E i risparmi li mettono in banca o li investono in terreni. Molti continuano a vivere nel “sottano”, ma fuori hanno la macchina e dentro hanno tutto e sotto il cuscino tengono il conto corrente con i milioni». I negozi, anche quelli del centro, sono modesti rispetto a quelli delle città del nord anche molto più povere di questa. E la boutique delle sorelle Fendi, che sono calate qui attratte da questa nuova ricchezza, fa magri affari. L’unico lusso che i barlettani si concedono è il ristorante (il «Brigantino», il migliore della città, ventimila a testa, è sempre pieno), ma anche questo, a pensarci bene, non è che il segno di una fame ancora recente. Solo nei figli, ma non in tutti, questa ricchezza affiora. I padri restano quello che sono sempre stati.

Che Barletta sia ricca, anche se questa ricchezza non è ostentata e non si vede, è un fatto incontestabile. Più difficile è spiegare perché lo sia diventata soprattutto in questi ultimi anni. Dice il cavalier Memmo Frezza, che dal 1920 commercia macchine per l’industria: «Barletta ha sempre avuto una vocazione industriale». E il professor Salvatore Garofalo, che insegna politica ed economia agraria all’Università di Bari, aggiunge: «I barlettani hanno un forte spirito imprenditoriale ed un sentimento di emulazione che è molto raro al sud, e nella stessa Puglia, dove la mentalità dominante è purtroppo quella di lasciarsi andare e di cercare di mettere i bastoni fra le ruote a chi fa qualcosa. Questo fatto culturale è molto importante. Ma, oltre al carattere dei barlettani, le potenzialità di un forte sviluppo c’erano tutte, già in passato: un mercato vivace, il porto, una buona posizione fra Bari e Foggia alla confluenza dell’Ofanto, infrastrutture, strade, autostrade».

Ma che cosa ha fatto scattare il decollo di Barletta? Sostanzialmente la sua lontananza dall'Italia che non funziona. Non è un caso che il boom di Barletta inizi proprio negli anni '70 quando il resto dell’Italia entra in crisi e che lo sviluppo dei suoi calzaturifici sia contemporaneo alla flessione di quelli di Vigevano. Fra il '70 e l’80 Barletta si trova nella condizione ideale di poter sposare uno stile di vita antico - il che vuol dire nessuna burocratizzazione, poco sindacato, poca politica - con uno spirito imprenditoriale moderno, proprio mentre il resto del paese diventa poco competitivo. Inoltre può mettere così finalmente a frutto un solido lavoro “preparatorio” cominciato intorno agli anni trenta.

Lo stesso fatto di essere un lembo di terra dimenticato si risolve in un vantaggio. Non ci sono stati qui, da parte dello Stato, insediamenti industriali mastodontici come altrove in Puglia (l’Italsider di Taranto, il Petrolchimico di Brindisi, per non citarne che due). Ciò ha impedito da una parte che si inoculasse nel sangue della gente di qui il veleno dell’assistenzialismo e la pretesa che sia lo Stato a risolvere tutto (sono ormai molti a ritenere, anche qui al sud, che certo meridionalismo piagnone e la Cassa del Mezzogiorno siano stati più dannosi che utili), e dall’altra che l’industria schiacciasse l’agricoltura. È cresciuta invece gradualmente un’industria non assistita, quasi esclusivamente locale (da fuori sono venuti sola la Unicem, cementeria del gruppo Fiat, la Cidneo di Brescia, sanitari, e la Italsilos di Napoli, non molto percentualmente), che si è fermata alla media dimensione e si è ben integrata con l’agricoltura, invece di sostituirla e cambiare così anche quello stile di vita, laborioso, onesto, familiare, solido, parsimonioso che ha fatto finora la fortuna della città. Anche se Barletta è ormai circondata da una periferia di fabbriche, di capannoni, di magazzini, la presenza contadina si avverte ancora molto in città. E non solo come retaggio culturale. Basta mettere piede un giorno qualsiasi, dopo le cinque del pomeriggio, in piazza Roma, per trovare una folla di contadini e di sensali, che discute, tratta, stipula contratti suggellati da una stretta di mano (e spesso si tratta di contratti “a colpo” in cui le parti giocano sul rischio: viene cioè comprato l’albero ai primi germogli quando non si sa ancora quanto produrrà). Afferma Garofalo: «Lo sviluppo industriale si avvantaggia di questo solido retroterra agricolo». E viceversa.

«Barletta» mi dice ancora Proietti «non ha delinquenza, qualche scippo, qualche furtarello». Del resto la città, pur nel suo aspetto modesto e forse proprio per questo, ha ancora una dimensione umana, anche perché finora non si è commesso qui l’errore, fatto invece, per esempio, a Bari, di cacciare gli abitanti più poveri dalla città vecchia e rinchiuderli in qualche quartiere ghetto della periferia.

Anche la politica è discreta e non fa i guasti consueti. La giunta è di sinistra, ma convive senza traumi con una città rimasta profondamente cattolica (sono entrato alle otto di sera di un martedì qualsiasi nella grande chiesa di corso Garibaldi: non ci si poteva muovere tanto era zeppa di gente).

Tutto procede bene quindi, a Barletta? Per ora. L’impressione infatti è che la città sia arrivata al suo zenit e che i problemi comincino ora. A causa proprio della sua opulenza. Questa nuova ricchezza sta infatti attirando su Barletta l’attenzione pelosa dell’Italia che non funziona. Già da un paio d’anni a Barletta, ma anche a Margherita, a San Ferdinando, a Trinitapoli, si è affacciato, sia pur ancora timidamente, lo spettro del racket, che trova la sua manovalanza a Canosa, l’unica città depressa della zona, ma i suoi ispiratori in Campania. La speculazione edilizia, che aveva saputo contenersi entro limiti di decenza nei due precedenti periodi di boom delle costruzioni (che qui si sono avuti fra il '50 ed il ’60 e fra il '65 ed il '78) si è fatta più spregiudicata e al di là della ferrovia ho visto che sta venendo su, in mezzo al “terrain vague”, un quartiere di falansteri di cartapesta pericolosamente simile al Gratosoglio di Milano o al Traiano di Napoli o alla Magliana di Roma o al Cem-San Paolo di Bari. E ormai sappiamo a memoria che cosa viene fuori da questi quartieri-ghetto: la violenza, la criminalità organizzata, la delinquenza politica, la droga, la disperazione.

Infine adesso anche i politici guardano con maggior attenzione a Barletta. E anche questo è poco rassicurante. Me ne giravo verso sera, col mio pacco di giornali sotto il braccio, per le strade tortuose della città vecchia, sfiorando i sottani celati dalle grandi tende, al di là delle quali, qualcuno, una donna, cantava un motivo moderno con la cantilena delle nenie arabe. Me ne stavo, beato, in quell’atmosfera da souk e respiravo forte per sentire quell’odore grasso e dolce, quell’odore di miele cotto che è l’odore di Istanbul, che è l’odore di Atene, che è (o era) l’odore di Venezia, che è l’odore dell’Oriente, quando d’improvviso mi sono trovato circondato da una folla di bambini. Erano ben vestiti e avevano i visetti puliti, ma istintivamente ho messo la mano in tasca pensando che volessero qualche moneta. Ma il più grande, avrà avuto sì e no otto anni, mi ha chiesto: «Signore, ce li regali i tuoi giornali?». Glieli ho lasciati, un po’ sorpreso, ed ho proseguito mentre sentivo, alle mie spalle, che si disputavano, con alte grida infantili, quei fogli spiegazzati.

Pagina, agosto-settembre 1982.