domenica, gennaio 12, 2025

Elio Lannutti

 BENITO - PETROLINI com’era grottesca quell’Italia lì


A me è parso invece una cosa molto bella. A tutti quelli immagino che si indigneranno, ai postnostalgici ai malinconici ed ai sovranisti della periferia del trash ed a tutte le deformazioni che ci appassionano della “Grande Bellezza del piffero” e dunque alla retorica delle corbellerie.

È un film che non vuole essere un polpettone biografico e che invece interpetra i libri da cui parte. La figura di Benito Mussolini è rivelata fuori da una retorica di schieramento e ne riconosce i limiti della sua storicità. L’atmosfera restituita del periodo è perfetta. Ovviamente è una evocazione cinematografica, ma contiene moltissimi argomenti e spunti di notevole portata. La scelta di dare forma così carica ed esornante ai personaggi non ha un intento espressamente “di tendenza”, ma è appunto l’effetto di in recepimento di quel tempo che ha vissuto nel paradosso e appunto del grottesco. Sono forse termini a noi estranei e lontani come peró oggettivamente lo sono quei fatti. Quel tempo grazie a Dio non ci appartiene e ne siamo usciti con dolori immensi. I nostri padri ne sono usciti. Tutto ruota intorno al senso precario della vita e dunque della morte e della violenza come soluzione. Caratteri connaturati all’inizio secolo ed alla “guerra” come ristagnazione ideologica dominante. Le occasionali fortune costruite dalle situazioni accidentali colte nell’opportunismo. L’amore e la fame, violenza e violenza come valore relativo della vita. L’Italia della grande ignoranza e senza bellezza; l’Italia dei piccoli uomini diventati, malgrado loro giganti. Un girato molto studiato ed un attore molto bravo a caratterizzare il personaggio che così voleva apparire, restituendolo nella sua integrità ancora grottesca.

Se si potesse usare una deformazione retorica si potrebbe definire questo film come il film di “Benito Petrolini” ovvero le due facce della finzione e dei modelli: Mussolini-Petrolini. Le stesse musiche ti ci portano! E poi un D’Annunzio anch’egli spogliato di autorità poetica e rivestito del mostruoso goffo della retorica scapigliata nell’epifenomeno dell’eroe.

Ovvio che questa produzione vada guardata con occhi diversi e senza preclusioni ideologiche e politiche. Viceversa non ha senso stare lì ad aspettarsi soluzioni che ti aspetti. 

Molteplici mood che tengono viva la lunghezza oltremodo esasperante; ma è quella dei vent’anni che si compongono in ogni fatto che li hanno determinati: uno dopo l’altro.

Perchè forse non è violenta quell’epoca? C’è spazio che fornisce speranza ad una “plutocrazia” democratica?

Questo è quel tempo, questo è l’uomo! Questo è il disastro che hanno cancellato i nostri padri pur vivendolo nei vari gradi di intensità.

Mio padre è una croce al merito, ma non si sentì ripagato dagli anni del Montenegro e dei campi di concentramento in Germania.

Non batteva più le mani a nessuno e a chi gli chiedeva “avvocato, ma non l’è piaciuto il teatro?” Rispondeva: “ho battuto quindici anni le mani ad uno che mi ha fatto fare sei anni di guerra. In quel campo in Germania ho giurato che se fossi uscito vivo, non li avrei battute le mani nemmeno al Papa”!

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