venerdì, giugno 24, 2022

Enrica Sabatini

 Piaccia o non piaccia, ma nella recente partita a scacchi tra Luigi Di Maio e Giuseppe Conte, a vincere è stato il primo con il secondo che si è trovato a fare il pedone.

L’operazione che Di Maio ha deciso di portare avanti è stata semplice: sfruttare le debolezze dell’avversario mettendo in campo una strategia speculare.
Mentre Conte si focalizzava sui legami diretti, sulle persone vicine costruendo una cerchia ristretta intorno a sè più fedele che leale, Di Maio tesseva i legami “indiretti”, raccogliendo tutte le persone che man mano Conte lasciava fuori nel suo circuito. Più Conte nominava persone escludendone altre, più Di Maio ingrandiva la sua sfera di azione. Più Conte pensava di essere forte e più in realtà diventava debole.
Secondo aspetto, forse ancora più importante, che ha visto Conte soccombere è stata l’incapacità di gestire il raccordo centro-periferia. Come fu per Monti e ne determinò il fallimento, anche Conte ha immaginato che la credibilità istituzionale di ex premier unita al patrimonio relazionale romano sarebbe state sufficienti per essere un leader di una forza politica. Ma così non è stato. La mancanza di controllo delle risorse organizzative e soprattutto di conoscenza del territorio è stato l’elemento di fragilità della sua operazione e quello di forza di Di Maio.
Alla strategia di push (centro-periferia) di Conte, Di Maio ha opposto una di pull (periferia-centro) sfruttando la rete di rapporti locali costruita negli anni lontano dalle mura romane.
E il risultato è stata un blitz lampo, fulminea per i tempi ed esponenziale nei numeri.
Oggi Di Maio è riuscito a togliere a Conte forza in Parlamento, forza sui territori e potere economico. Tutti gli asset di una organizzazione.
La strada per il 2023 è lunga e sarà dirimente la scelta di Conte tra continuare a stare al Governo con Di Maio o andare all’opposizione senza il PD. E come ogni maratona conterà anche quanto ossigeno saranno in grado di garantirsi o togliere l’uno all’altro.

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