Forse lo dovevamo capire da quel tappo di champagne caduto dalla sua parte. La scena è questa: secondo set, 2-1 per Sinner che si accinge a battere… quando il rumore inconfondibile di un tappo che salta, nel silenzio del centrale, e piomba in campo, lascia tutti di stucco. Jannik lo raccoglie e lo dà al raccattapalle ma forse, quel tappo, era il segnale del successo che sarebbe stato, del brindisi che lo attendeva di lì a tre ore, dopo quel triplo 6-4 che lo consacrava campione di Wimbledon. Perché Sinner ha giocato una gran partita, addomesticando l’esuberanza di Alcaraz, costringendolo all’errore, non consentendogli il comando negli scambi grazie al servizio efficace. Il tutto accompagnato da una grinta e una voglia di vincere che gli ha fatto urlare “Go!” più di una volta, o mettersi le mani ai fianchi, incredulo per un errore non da lui, o ancora chiamare il pubblico, dopo una difesa delle sue seguita da un passante stretto di rovescio incrociato (sul 5-4 e servizio nel secondo set).
Forse dovevamo capire che questa era la “«vittoria nello Slam più speciale, dopo tre mesi fermi e due finali perse”, come ha detto il coach Simone Vagnozzi confessando di aver pianto - cosa che non era mai successa - nel box con Darren Cahill, Alex Vittur, mamma Siglinde protetta da un paio di occhialoni da sole, papà Hanspeter e Mark, il fratello sottratto alla Formula 1.
Nessun commento:
Posta un commento