mercoledì, marzo 02, 2022

Alessandro Di Battista

 Con l'invio di armi in Ucraina, di fatto, l'Italia entra in guerra. Non viene detto con chiarezza e con il dovuto senso di responsabilità ma così è. L'Italia entra in una guerra della quale si ignorano i potenziali sviluppi. Poi per carità, pare ancora altamente improbabile un allargamento del conflitto ma era anche estremamente improbabile (io davvero non me l'aspettavo) l'invasione dell'Ucraina. L'invio di armi in Ucraina (armi letali, la storiella delle “armi difensive” è la solita ipocrita barzelletta all'italiana) viola l'art. 11 della Costituzione italiana (“la più bella del mondo” a giorni alterne) e, soprattutto, tende ad inasprire ancor di più un confitto potenzialmente nucleare. Il ministro degli Esteri russo ha parlato chiaramente di “atto ostile”. 


Oltretutto, oltre ad essere una scelta pericolosa che non va nella direzione della distensione del conflitto potrebbe risultare inutile. Per molti analisti Putin ancora non ha del tutto premuto sull'acceleratore. Anche ieri, a DiMartedì, davanti a me, l'ambasciatore Massolo, già direttore del Dipartimento delle informazioni per la sicurezza e oggi Presidente dell'ISPI ha detto: “Putin prima o poi prevarrà”. Non so se sarà così ma, ripeto, fior di analisti la pensano in questo modo. 


Se così fosse le armi che senza alcun dibattito pubblico (anzi, dando del filo-Putin a tutti coloro che dissentono) invieremo in Ucraina potrebbero finire presto nelle mani dei russi, esattamente come l'immenso arsenale donato all'esercito afghano oggi è interamente in possesso dei talebani.


In un Paese serio il dissenso si ascolta, non lo si criminalizza. Al contrario oggi, in Italia, chiunque abbia serissimi dubbi sull'invio di armi o sull'efficacia delle sanzioni viene criminalizzato, infamato, offeso. Ed il dramma è che tali ingiurie vengono da coloro che poi (giustamente) si scandalizzano per la repressione del dissenso in Russia di questi giorni. Da una parte manganelli veri, da questa parte manganelli mediatici che non lasciano lividi o ferite visibili ma che mirano a silenziare ogni voce critica. 


Certo, c'è chi va avanti e non si lascia intimorire ma c'è chi, al contrario, tace per quieto vivere evitando di pronunciarsi in un momento in cui ognuno ha il diritto-dovere di prendere posizione. 


Io sono contrario all'invio di armi in Ucraina e sono particolarmente scettico sulle sanzioni avendo visto in passato la loro assoluta inefficacia per lo meno rispetto agli obiettivi prefissati (l'indebolimento o il rovesciamento di governi o regimi ostili all'occidente). 


Il Vaticano insiste sulla via diplomatica, la Cina (a breve la prima economia mondiale) fa lo stesso. E così la Turchia (tra l'altro un Paese NATO che si oppone anche alle sanzioni), il Brasile, l'India. Tralasciando giudizi etico-politici sui loro governi è indubbio che vi sia un consistente “pezzo di mondo” che stia insistendo sulla diplomazia al contrario dei paesi europei oltretutto i più esposti ad una guerra reale o ad una guerra economica che, ancora di più in epoca post-pandemica, farebbe moltissime vittime. 


Fermatevi un istante, riflettete, ragionate sulle possibili conseguenze di ogni decisione. Peggio di una “belva” c'è una belva ferita.

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