domenica, gennaio 23, 2022

Barbara Lezzi

 "Vendetta del potere contro i giudici". 


Così Nino Di Matteo definisce la riforma della "migliore" ministra della Giustizia. 


Ma questa volta Di Matteo non è solo. Nei diversi distretti, da nord a sud, in occasione dell'inaugurazione dell'anno giudiziario, sono piovute critiche e osservazioni sulla riforma del processo penale. A Torino, ad esempio, la scherniscono dicendo che l'istituto dell'improcedibilità, ovvero la morte dei processi in appello, equivale a fissare il tempo di permanenza in pronto soccorso. Se ci stai più di un tot di minuti, te ne torni a casa senza cure. A Milano, Alessandra Del Moro, dichiara: la riforma Cartabia crede di abbreviare i processi cambiando il nome da prescrizione a l'improcedibilità. 


La riforma Cartabia resta un errore imperdonabile di tutti coloro che hanno avuto la faccia, sì proprio la faccia, di approvarla e difenderla.


Ma la politica non smette di essere opaca e non spiega, in particolare il Partito Democratico, perché non intende liberare la magistratura dalla trappola delle correnti che minano la credibilità delle Istituzioni e lo stesso diritto a ricevere giustizia dei cittadini. 


Sto parlando della riforma del CSM che stenta a procedere perché c'è una forte contrarietà rispetto al sorteggio per individuarne i componenti come unico metodo che consentirebbe la fine di tutto quello che abbiamo saputo attraverso Palamara.


In merito a questo, Cartabia auspica, si augura, spera ma non agisce. 


Ora ci resta la preoccupazione che la ministra che si è fatta strumento per quello che Di Matteo definisce un regolamento di conti tra magistratura e potere politico, economico e finanziario diventi Presidente della Repubblica o più facilmente del Presidente del Consiglio.

La promozione sarebbe un premio per aver dato il nome alla peggiore riforma del processo penale della storia come ha denunciato anche Gratteri.

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